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DISCORSO DEL SINDACO LORENZO RADICE ALLA COMMEMORAZIONE DEI DEPORTATI DELLA FRANCO TOSI

Pubblicato il 13/01/2021

Un saluto a tutte le autorità e a tutti i presenti.

5 gennaio 1944 – 13 gennaio 2021. Ci sono due Legnano e due mondi diversi racchiusi in queste date. I 77 anni che separano questi estremi sono stati un balzo senza eguali nella storia. Cosa è diventata, allora, Legnano nel frattempo? Come si è trasformata la fabbrica in cui ci troviamo? Quali sfide si presentavano ai legnanesi di allora? E quali a noi? E, da ultimo, qual era il nemico allora e qual è oggi?

Rileggere il passato, spesso, ci sembra un esercizio più semplice che interpretare i tempi in cui viviamo e i suoi problemi. E questo perché ogni momento nella storia, fatta di grandi e di piccoli eventi, ci pone di fronte a delle scelte. E oggi la scelta degli operai della Franco Tosi, che nel gennaio del 1944 scioperavano chiedendo un trattamento più dignitoso e ribellandosi alla costruzione di materiale bellico può sembrarci chiara nella sua finalità, incontestabile alla luce della situazione che, specialmente dalla fine del 1943, si era cominciata a vivere nelle fabbriche. Ce lo dicono gli storici, ci restano le testimonianze di chi assisté a quei fatti. Ma chi, quel 5 gennaio 1944, si è ribellato ai soprusi dei nazifascisti non sapeva e non poteva avere chiaro tutto questo, non poteva prevedere quello che sarebbe accaduto. Ribellandosi non sapeva con certezza che il proprio rifiuto sarebbe stato per sempre. Sapeva di certo, invece, che quella era la cosa giusta da fare. Da fare a ogni costo. Per la propria coscienza di uomini liberi e per una prospettiva di lavoro, di vita e di società diverse; libere e democratiche. Di questo erano convinti Pericle Cima, Carlo Grassi, Francesco Orsini, Angelo Santambrogio, Ernesto Venegoni, Antonio Vitali, Paolo Cattaneo, Alberto Giuliani: che bisognasse dire no a un regime criminale e a una guerra insensata, qualunque fosse la conseguenza. Il più giovane di loro, Angelo Santambrogio, aveva soltanto 31 anni, il più anziano, Francesco Orsini, 62. Avevano un lavoro, una famiglia, una casa. Avevano una vita che fino a quel momento si poteva definire perfettamente normale; la stessa vita dei loro colleghi, amici e coetanei. Poi, ecco la scelta che cambia tutto. Ecco l’atto di coraggio che ha fatto loro perdere la vita, l’atto per cui li ricordiamo, l’atto per cui dobbiamo loro riconoscenza. La loro è stata una scelta non scontata, certamente scomoda, una scelta che ha messo un interesse superiore, un senso forte della giustizia davanti alle ragioni della convenienza personale. Quello che mi chiedo, oggi, da legnanese fresco quarantenne, da padre di famiglia cui pochi mesi fa è stato dato l’incarico di amministrare questa città è: cosa avrei fatto al posto loro? Perché se è vero che il loro gesto è compiuto ed è ormai nella storia di questa fabbrica e di questa città, quel gesto deve continuare a interrogare ognuno di noi anche oggi, come se a ognuno di noi potesse toccare questa prova: io cosa avrei fatto? Me lo chiedo perché adesso avverto in pieno una responsabilità estremamente seria, quella di rappresentare una comunità di oltre 60mila persone. Me lo chiedo anche se so bene che il peso di ogni scelta, di fronte alla loro scelta, impallidisce. Me lo chiedo per il rispetto che è loro dovuto. Me lo chiedo perché la scelta tra la vita e la morte è la più radicale che possa presentarsi a un essere umano.  

È la prima volta che, nelle vesti di sindaco, con la fascia tricolore, partecipo a questo momento. E devo dire che la modalità particolare, ristretta per ragioni di necessità, con cui si tiene oggi questa cerimonia non toglie nulla all’emozione che sto provando. È un’emozione che sento per il fatto di entrare in un fatto storico della nostra città, di raccogliere il testimone di tutti i sindaci che qui, in questo luogo, mi hanno preceduto in oltre settant’anni. E in tutto questo tempo la cerimonia di commemorazione dei deportati della Tosi, anno dopo anno, ha accompagnato i cambiamenti della fabbrica in cui ci troviamo. Posso soltanto immaginare l’atmosfera che si respirava alle prime commemorazioni, quando la ferita di questi fatti drammatici era ancora viva, quando erano presenti i compagni di lavoro delle vittime. Posso soltanto immaginarmi gli ambienti che ospitavano la manifestazione; capannoni gremiti di quelle tute blu che erano lo spirito della grande fabbrica che qualcuno ricorda ancora e di cui tanti legnanesi, e io fra questi, hanno sentito parlare. Poi –come si può leggere dalle cronache– negli anni in cui l’economia, e con essa la nostra città, ha cambiato volto, passando dalla grande industria al terziario e ai servizi, il ritrovo in Tosi per ricordare il sacrificio dei suoi operai è sempre stata l’occasione anche per riflettere sulla situazione dell’azienda, sulle sue prospettive, sul legame che ha intrattenuto con Legnano e sull’importanza che per Legnano continua a rappresentare.

Fare memoria, anche in questo caso, è impegnarsi perché il passato non cada nell’oblio, è non rassegnarsi a quello che sembra inevitabile. È ribellarsi affinché i lavoratori deportati e tutti quelli che in fabbrica hanno lottato per il lavoro continuino a vivere nella nostra identità di legnanesi, di abitanti di una città che è nata sulla spinta delle tante piccole e grandi fabbriche che qui aprirono i loro cancelli. È reagire credendo nella progettualità, nell’idea di una Legnano che sappia mettere a frutto oggi, nell’era del digitale, quelle capacità e quelle energie che hanno scritto pagine fondamentali nella storia dell’imprenditoria e del lavoro nel Novecento.

Se il mio pensiero è andato agli anni passati è per sottolineare la differenza con la cerimonia che viviamo oggi. Per la prima volta in oltre settant’anni, infatti, la partecipazione a questa manifestazione è stata limitata e avviene all’esterno della fabbrica. Il nemico che, da diversi mesi, tutti insieme stiamo affrontando è un’epidemia che ci costringe a rispettare le distanze fra di noi. Mi trovo, dopo due mesi circa dalla mia prima commemorazione tenuta da sindaco, quella del IV Novembre, a lamentare ancora l’assenza forzata dei cittadini, dettata dalla necessità di evitare assembramenti per limitare i rischi della diffusione del virus. È un impegno che, da circa dieci mesi ormai, stiamo affrontando. È una rinuncia difficile e dolorosa alle nostre abitudini, fra cui la socialità rappresenta un elemento ineliminabile e vitale. È un sacrificio che facciamo per noi e per gli altri, perché essere parte di una comunità significa condividere con gli altri componenti di questa le privazioni necessarie in vista di un beneficio comune. Non è, contrariamente a quella di chi 77 anni fa da questa fabbrica fu deportato, una scelta di coraggio estremo, ma è, esattamente come quella, una scelta di responsabilità. La scelta di chi, appunto, con il suo agire si fa carico non soltanto della proprio destino ma anche di quello degli altri. È un io che pensa e decide per il noi, per gli altri. Perché se il sacrificio degli operai della Tosi ha contribuito a costruire un mondo diverso da quello che era precipitato nel conflitto più drammatico della storia, le nostre piccole rinunce possono aiutare a combattere questo nemico globale invisibile ma pericolosissimo. Oggi, qui, mancano diversi miei colleghi, i sindaci del territorio che, negli anni, hanno sempre onorato questa manifestazione. Oggi mancano gli interventi dei nostri studenti, i loro pensieri, il loro sguardo su un episodio di storia lontano ma che non ha mai finito di parlarci. Sta a noi ascoltarlo, non semplicemente per mantenere una tradizione, ma per rinnovare il nostro modo di vivere responsabilmente ogni giorno il presente.  

Per questo, fin d’ora, vi faccio il mio augurio per ritrovarci qui, come sempre abbiamo fatto, il prossimo anno. Insieme.

 

Lorenzo Radice

Sindaco di Legnano