DISCORSO 25 APRILE
Pubblicato il 25/04/2022
Buongiorno a tutti, alle autorità civili, religiose e militari presenti, agli studenti delle nostre scuole che, finalmente, dopo due anni, tornano in piazza con noi per celebrare l’anniversario della Liberazione.
È un 25 aprile molto particolare quello che viviamo quest’anno. Ed è sicuramente uno dei più drammatici dalla fine della seconda guerra mondiale. Una guerra che dura ormai da due mesi si sta consumando nell’est dell’Europa, fra due Stati, i cui popoli, quello ucraino e quello russo, hanno una storia comune e legami storici e culturali molto forti. Si sta consumando nella preoccupazione del mondo occidentale, e in particolare dell’Unione Europea, in Pace da oltre settant’anni, dopo aver subito nell’intero continente i due immani e devastanti conflitti mondiali esplosi nel corso del Novecento.
Da dove veniva quella situazione di Pace? Cosa l’ha resa possibile? Quella Pace era il risultato di una vittoria, quella sul nazifascismo, ottenuta, nel nostro Paese, dalla Resistenza e dalla lotta di Liberazione con il fondamentale apporto delle forze alleate. Era il risultato della vittoria di chi condivideva ideali di libertà, uguaglianza e giustizia sui regimi fascisti e nazisti, regimi che avevano cancellato, all’interno dei loro Paesi, ogni dissenso e regola democratica e sottomesso, con le armi, altri Stati liberi e indipendenti.
Certo, fino all’anno scorso questo era un discorso consegnato e limitato alla dimensione della Storia, a un decennio del Novecento fra i più terribili della Storia dell’umanità. Ma oggi, quella logica di sopraffazione, quella che sta alla base dei conflitti armati, è tornata ad alzare drammaticamente la testa. E questo non è avvenuto in altri continenti, dove magari sapevamo essere in corso delle guerre che l’Occidente ha spesso colpevolmente ignorato o sottovalutato. Questo è accaduto nella nostra Europa, quasi che la lezione dei due conflitti mondiali del Novecento fosse dissolta, dimenticata o volutamente calpestata.
Perché cadere ancora in quel tragico errore?
Perché scegliere la guerra per risolvere problemi certo difficili, sicuramente complessi e di lunga data, ma che le armi hanno soltanto l’effetto di aggravare e che non potranno mai eliminare?
Perché, ancora una volta, dopo decenni e generazioni che non hanno conosciuto la guerra, la guerra torna a imporsi?
Perché un popolo è costretto, nella sua parte maschile adulta a combattere per non soccombere, e in quella femminile a fuggire con i bambini al seguito per non perdere la vita?
Perché tanti uomini giovani si trovano scaraventati in un conflitto di cui non capiscono il senso contro coetanei di cui sarebbe naturale essere amici e intessere normali relazioni?
Perché distruggere in pochi minuti con le armi quello che pazientemente, con tempo e fatica, intere generazioni hanno costruito?
Queste sono le domande che ci poniamo vedendo gli effetti devastanti del conflitto in Ucraina. Sono le domande di chi a questo conflitto assiste senza poter fare nulla per impedirlo, ma sono le domande che scattano quando proviamo a immedesimarci in quella situazione.
Io, cosa avrei fatto se la mia famiglia fosse stata attaccata, se la mia vita fosse stata in pericolo? Ed ecco che le questioni morali che ogni guerra pone a ognuno di noi si ripropongono puntuali in questo frangente. È naturale che una persona minacciata faccia di tutto per difendere sé e quello che ha di più caro –dopotutto, dal 1943 al 1945, è quello che hanno fatto le donne e gli uomini della Resistenza che oggi ricordiamo– è mostruoso e inaccettabile, invece, che si creino le condizioni perché questo avvenga.
È inaccettabile che nel XXI secolo, dopo aver visto milioni di morti nelle due guerre mondiali, la politica non riesca a trovare vie diverse e pacifiche, alternative alla guerra, per risolvere le tensioni. È inaccettabile che i negoziati non siano un dialogo vero, orientato all’ascolto e finalizzato, in ultima analisi, a una vera Pace, ossia a una Pace giusta, ma semplicemente un tentativo di sancire una posizione di forza a scapito dell’altro. Travisare il significato vero del negoziare significa non considerare la guerra per quello che è: un affronto alla dignità dell’essere umano, il trionfo degli istinti peggiori e più distruttivi di cui la nostra specie è capace, uno stato di devastazione che finirà per impoverire tutti, come, purtroppo, da diverse settimane a questa parte ci appare sempre più evidente.
E l’altro effetto macroscopico della guerra in corso, un effetto che possiamo constatare anche nella nostra città, è il dramma dei profughi, in questo caso di donne ucraine con minori in cerca di una sistemazione sicura. Un’emergenza per cui le tante forze vive della nostra città hanno risposto con prontezza, facendo rete, dando ognuna un contributo per quello che sono le sue specificità e professionalità. Legnano, che si è mossa per organizzare l’accoglienza insieme con gli altri Comuni del territorio e dialogando con la Prefettura di Milano, ha dimostrato, insieme, capacità di organizzarsi e umanità. Un atteggiamento che deve valere per chiunque abbia un bisogno e venga da altre realtà, realtà più lontane dai nostri orizzonti culturali, che conosciamo meno e che, per questo, magari, temiamo di più.
Ma l’accoglienza non è tale se è selettiva, se prova a inculcare nell’opinione pubblica l’idea che c’è chi “dalla guerra scappa e chi la guerra la porta”.
Dico questo perché non sarà sfuggito che nelle ultime settimane, in cui l’attenzione dei media è stata orientata alla guerra in Ucraina, gli sbarchi dall’Africa si sono intensificati. E cosa dovremmo fare noi italiani, noi europei, che abbiamo sconfitto il nazifascismo e creato un mondo più giusto, aperto, tollerante e democratico di fronte a quella che, di fatto, non è più un’emergenza ma una costante degli ultimi anni, ossia la migrazione di una parte della popolazione dal mondo più povero verso le nazioni con un grado maggiore di benessere?
Cosa fare di fronte a chi bussa in altri punti dei nostri confini rispetto a quelli attraversati dai profughi ucraini? Fare distinzioni fra chi ci richiede aiuto? Accogliere da una parte e alzare muri dall’altra?
Il dramma dell’emergenza ucraina deve essere per noi l’occasione per riflettere sulle altre grandi questioni aperte nello scenario geopolitico, per trovare -certamente- politiche comuni a livello europeo, ma anche, a livello di territori, a muoversi in sinergia, a fare sistema nella nostra dimensione locale. I fatti drammatici di quest’anno ci dicono una cosa –e qui vogliamo rivolgerci in particolare ai giovani delle scuole presenti in questa piazza: fare memoria del passato –come potete vedere– non è un esercizio di vuota retorica, ma è un modo importante per decifrare il presente che viviamo. Resistenza è quella di quasi ottant’anni fa che ricordiamo oggi, Resistenza è quella che oggi vediamo in Ucraina. Le notizie delle torture, i rastrellamenti e le immagini di città devastate dai bombardamenti che da giorni la fanno da padroni non sono una triste particolarità di questo conflitto: le fucilazioni al ponte di San Bernardino, l’assedio della cascina Mazzafame, le deportazioni nella Tosi e nella Comerio sono soltanto alcuni dei capitoli di una storia che Legnano e questo territorio ha vissuto quasi ottant’anni fa.
Una storia che non dobbiamo permettere si ripeta mai più. Perché, come è stato richiesto con forza ieri, nella Marcia della Pace: “Fermatevi! La guerra è una follia”.
Buon 25 aprile